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Proges: “Diario di una pandemia”, il racconto di Maria Antonietta, Referente servizi Humanitas di Milano

L’emergenza Coronavirus ha comportato la necessità di una rimodulazione dei servizi e delle metodologie di lavoro e azione, in particolare per quanto riguarda le strutture assistenziali. Non solo, sono stati attivati protocolli idonei per far fronte alla situazione di necessità e sicurezza, anche attraverso differenti funzioni e destinazioni d’uso di alcune realtà di supporto.

È il caso dell’Humanitas di Milano, dove Proges si è occupata della gestione dell’accoglienza degli ospiti, reception 24 ore su 24, gestione dei pasti, attività di pulizia e trasporto. Ed è proprio da qui che arriva la sentita testimonianza di Maria Antonietta Petrolesi, Referente servizi Humanitas, il racconto del lavoro portato avanti di giorno in giorno, delle difficoltà, dei timori e delle sensazioni.

Ecco ciò che ha voluto trasmettere.

“Milano 20 maggio 2020, sento di dire che siamo al “Giro di Boa” o quasi, la Foresteria che ci è stata affidata per quarantena Covid il 24 marzo 2020 sta per chiudere.  La fine di una breve, ma intensa, esperienza che vorrei condividere. Tra la felicità per gli ospiti che si riappropriano delle loro vite e un velo di malinconia, passo in rassegna i ricordi, guardando al “lato umano delle cose oltre la pura”. Così mi accorgo che in una giornata buia e piovosa, come tutto questo 2020, dei semplici certificati di completa guarigione sono il passo verso la ritrovata libertà. Tra i tanti, e con soddisfazione, ne consegno finalmente uno di questi a Matteo, 32 anni e 55 giorni per negativizzarsi, giorni passati tra speranza e sconforto, durante i quali si è cercato di incoraggiarlo, fino ad ottenere dai suoi medici 15 minuti d’aria quotidiani, da passare nascosto sotto il portico, prima che lo vedessero gli altri ospiti. Ieri finalmente Mirko ha potuto assaporare la tanto agognata libertà, aspettando quel taxi che lo avrebbe riaccompagnato alla sua vita, ma non senza prima aver avuto per noi parole di ringraziamento per aver reso più lieto il suo soggiorno, lasciandoci così con la promessa di un arrivederci.

Dopo questa immagine, nella mia mente, riaffiorano i volti delle diverse persone che sono transitate in Foresteria e mi accorgo che ognuna di loro mi ha, ci ha, lasciato qualcosa. Come Giuseppe, classe 1930, che accolgo con mille dubbi sulla sua autonomia, lo saluto sentendomi piccola, perché ho visto nei suoi occhi la dignità di chi una casa non ce l’ha e vive in un dormitorio; lui con la sua stanza sempre ordinata con letto ben fatto, mai una richiesta, neanche quando poteva finalmente andare via, e sul suo volto si poteva leggere tutto lo smarrimento perché non sapeva come arrivare alla fermata di quel tram che lo avrebbe condotto a “CASA”. E allora mi sono attivata, richiamando fuori orario l’autista per farlo accompagnare dove necessario, ricompensata dalla gratitudine del suo sguardo vivace, un ricordo, che ancora adesso, mi fa scendere una lacrima.

E ancora quando i pazienti arrivavano in Foresteria, catapultati da un letto di ospedale o direttamente da una terapia intensiva per fare spazio ad altri, smarriti, disorientati, a volte vestiti con un solo camicino, tenuto addosso anche 15 giorni.

In questo viaggio ho visto il percorso di mamma e figlia, insieme nella stessa stanza che, dopo un lungo periodo, vengono divise da un risultato: la mamma finalmente negativa, la figlia ancora positiva. Oppure il signor Marco, che tutti i giorni si faceva arrivare un pacco da Amazon, confessandoci poi che conteneva dolci. Sempre Marco, allegramente ci raccontava che la sua ricca famiglia, nonostante la sua completa guarigione, lo voleva fuori da casa per almeno un altro mese.

Sono arrivati da noi persone di tutte le estrazioni sociali: medici, operai, infermieri, senzatetto, professori universitari, badanti, alcuni dei quali anche con diversa nazionalità e credi religiosi. Questo percorso li ha resi tutti uguali. Tutti indistintamente ci hanno lasciato qualcosa, molti sono entrati piangendo e ne sono usciti gioiosi, commossi nel salutarci. È in questi momenti che ci piace pensare quanto, nel nostro piccolo, anche noi abbiamo contribuito alla loro risalita.

A conclusione di questo ricordo, il mio grazie e quello di Nadia va agli operatori, che senza paura hanno affrontato e ci hanno affiancato in questa nuova esperienza:

Gesiana/Cinzia: Accoglienza/Centralino, che hanno seguito con professionalità e rigore le nostre linee guida, assolvendo a richieste di ospiti, medici e familiari sempre con gentilezza e prontezza.

Jolanda/Simona: Pulizia camere, che con la loro allegria e voci squillanti, hanno trasformato il momento delle pulizie in uno scambio di battute con gli ospiti, cosi che in quel momento si potessero sentire meno soli.

Carmine/Antonello: Guardini notturni, hanno vegliato su di loro mantenendo la giusta distanza, condiviso qualche caffè notturno, pronti a intervenire in caso di necessità.

Danny: Autista che con grande gentilezza li ha accompagnati a fare i tamponi, riscuotendo molte simpatie”.

 

Maria Antonietta Petrolesi