Dopo la caduta del PIL superiore alla media europea sofferta nel corso del 2020 (-9% rispetto al -6,5% della media UEM), l’economia italiana ha recuperato molto velocemente, e a fine 2021, grazie al supporto della campagna vaccinale e delle politiche economiche (le misure di sostegno varate dai governi sono state pari al 6,5% del PIL nel 2020 e al 6,1% nel 2021), è ben posizionata rispetto ai principali partner e, in particolare, allineata a quelle di Francia e Germania. I traguardi raggiunti, con una crescita del PIL stimata al 6,3% per quest’anno (rispetto al 5,2% della media UEM), fanno guardare con qualche ottimismo al futuro, senza però dimenticare che l’inverno si preannuncia ancora difficile sia dal punto di vista sanitario sia per le difficoltà di approvvigionamento di beni intermedi e per i rincari dei prezzi di energia e materie prime.
È il quadro di sintesi che emerge dal report “Bilancio del 2021, secondo anno di pandemia” realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 3, frutto della collaborazione tra Area Studi Legacoop e Prometeia.
Quali i fattori alla base del recupero dell’economia italiana e del buon risultato conseguito nel 2021? Lo studio evidenzia il rimbalzo dell’output del settore dei servizi una volta venute meno molte limitazioni alle interazioni sociali, e l’andamento della manifattura, dove l’Italia, unica tra i quattro grandi paesi europei (oltre al nostro, Francia, Germania e Spagna), ha recuperato e sopravanzato i livelli pre-crisi, nonostante le difficoltà persistenti in termini di approvvigionamenti di semilavorati e di pressioni sui costi di produzione. I divari sembrano essere dovuti a un diverso posizionamento di gamma fra i paesi, che porta l’industria italiana a soffrire di meno la transizione ecologica e la carenza di semiconduttori al contrario dell’industria tedesca, specializzata in auto di fascia alta, oltre a una diversa composizione dell’offerta, con più produzione di ricambi in Italia e di aerei in Francia (particolarmente penalizzati dalla pandemia).
L’Italia registra le performance migliori anche al netto della produzione dei mezzi di trasporto, dove a ottobre 2021 si colloca in una posizione migliore rispetto agli altri tre Paesi. In particolare, fatto 100 l’indice della produzione industriale totale a dicembre 2020, a ottobre 2021 l’Italia si colloca oltre quota 103, la Spagna poco sotto 101, la Francia a 100,5 e la Germania poco oltre 96. Ciò sembra dovuto al traino dell’export, dell’alimentare(dove deteniamo un vantaggio comparato e che è risultato meno sfavorito durante la pandemia) e dei settori legati alla filiera dell’edilizia (legno e mobili, attrezzature in metallo, apparecchiature elettriche). Benché non si possa totalmente escludere un rovesciamento di tendenza, è da ritenere che questi fattori continueranno a proteggere la nostra manifattura nelle turbolenze delle strozzature nell’offerta di materiali e del caro energia, sempre che queste non durino troppo oltre la prossima primavera.
Inoltre, lo studio sottolinea che la crescita del PIL del 2,6% nel terzo trimestre rispetto al secondo è dovuta all’ulteriore recupero della spesa delle famiglie (+ 3%), specialmente nei servizi (+ 8%) favoriti dalla stagione turistica, ma anche all’ottima tenuta degli investimenti in beni strumentali, che con un +4.5% hanno oramai recuperato i livelli pre-crisi. In crescita, anche se rallentata rispetto al recente passato, gli investimenti in costruzioni, che stanno verosimilmente assestando la velocità dopo il fortissimo recupero post-lockdown sulla spinta degli incentivi fiscali alle ristrutturazioni. Rimane buona la performance delleesportazioni, confermando la salute del nostro settore industriale nonostante le difficoltà nelle catene di fornitura internazionali.
L’ultimo trimestre dell’anno è invece atteso in rallentamento, con una previsione di crescita dello 0,4% rispetto al precedente. Un rallentamento in parte fisiologico, dopo l’effetto positivo delle riaperture nel terzo trimestre, e in parte causato dal manifestarsi delle difficoltà di approvvigionamento lungo le catene globali del valore, ma che, comunque, non pregiudicherà la crescita media annua del PIL del 6,3% che ci consentirà di chiudere l’anno con una distanza dal pre-crisi (quarto trimestre 2019) solo dello 0,8%.
“Il bilancio del 2021, secondo anno di pandemia, è tutto sommato positivo” – commenta Mauro Lusetti, presidente di Legacoop – “solo qualche mese fa non avremmo mai sottoscritto previsionifavorevoli, e anzi paventavamo conseguenze devastanti per il nostro paese. Diversamente, dalla primavera scorsa abbiamo verificato una rapida ripresa di tutti i settori, che nell’ultimo quadrimestre ha recuperato anche chi aveva subito di più l’impatto dell’emergenza, come turismo, cultura, entertainment. A questa ripresa si è accompagnata una costante crescita della fiducia, elemento essenziale di questo 2021 e da preservare anche nell’anno nuovo. Nonostante questo scenario tutto sommato favorevole, siamo costretti a chiudere l’anno indicando un fattore che ci preoccupa molto; anzi, lanciando un vero e proprio grido di allarme che arriva dalle nostre imprese e che vogliamo amplificare con forza: i costi di produzione dovuti al disordine negli approvvigionamenti e al rincaro impressionante delle materie prime e dell’energia, stanno colpendo con violenza soprattutto le pmi che costituiscono la dorsale del nostro sistema produttivo. Temiamo che molte imprese, compresi i workers buyout cooperativi, rischino di non resistere fino alla fine dell’inverno. Questo tema ora deve essere la nostra ossessionee il perno delle politiche industriali della ricostruzione”.
Non vanno infatti sottovalutate le tensioni inflazionistiche, con molti rincari che, per ora, si stanno scaricando sui margini delle imprese. I dati relativi all’Italia evidenziano, innanzitutto, il ruolo dell’energia, in crescita a novembre del 73% nei prezzi alla produzione, del 31% in quelli al consumo.Incrementi che non hanno esentato i primi stadi di produzione e distribuzione dei beni manufatti, dove gli incrementi sono oramai a due cifre (10.4%), come non si osservavano dagli anni 90. Al contrario, con un’inflazione core ancora all’1,4%, il contagio lungo le filiere fino ai prezzi dei servizi appare marginale, ancorché in crescita.
Comunque, lo studio sottolinea come, escludendo provvedimenti restrittivi a causa della nuova ondata della pandemia, gli indicatori economici segnalino un lento miglioramento nei prossimi mesi. La crescita economica, in ogni caso, dipenderà anche dalla velocità con cui le famiglie riacquisteranno fiducia e riporteranno la propensione al consumo ai livelli pre-crisi. La propensione al risparmio è infatti molto aumentata (nel 2020 i flussi hanno raggiunto la cifra monstre di oltre 80 miliardi di euro) e siamo ancora ben lontani dai livelli pre-crisi. Senza dimenticare che molto risparmio è detenuto nei conti correnti bancari, immediatamente disponibile per il consumo.